giovedì 2 gennaio 2020

#23 - La cosa nella Letteratura

Nel romanzo del Promessi Sposi di Manzoni, il termine martello compare più volte, usato sia come metafora , per esempio nel capitolo II “noi poveri curati siamo tra l’incudine e il martello” pronunciata da Don Abbondio, sia come oggetto inteso come battacchio della porta  “si  appressa  alla  porta  che  è  chiusa,   pone  la  mano  al  martello  e  ve   la  tiene 
sospesa …. Finalmente alza il martello e dà un picchio risoluto,” nel capitolo XXXIV.

Nell’opera di Giovannino Guareschi “Don Camillo e il suo gregge” del 1953 ”Peppone stava domando una grossa sbarra di ferro che doveva diventare qualche pezzo complicato di un cancello e, ogni tanto, provava il martello sull’incudine e l’incudine cantava. A Peppone piaceva molto battere il ferro. Battere il ferro rende meno che trafficare attorno ai motori: però dà allegria. Mettere a posto un motore di trattrice o d’automobile è come cercare l’errore che impedisce a un’operazione aritmetica di funzionare: l’uomo si mette al servizio della logica inflessibile della macchina ed è una faccenda umiliante. Cavar fuori a martellate qualcosa da una spranga di ferro è imporre la propria volontà alla materia. Metallo è quello di un motore e metallo è quello di un cancello: ma nel primo caso chi comanda è il metallo, nel secondo chi comanda è l’uomo.“


Anche nella poesia il temine martello compare, in questi casi come oggetto del lavoro quotidiano che con il suo battere regolare scandisce il passare inesorabile del tempo


Poesia di Giovanni Pascoli “Il ritorno delle bestie” tratta da “ I Canti di Castelvecchio”

Non sul pioppo picchia il pennato 
più, né l’eco più gli risponde. 
L’erta sale un uomo celato 
dal carico folto di fronde. 
E il martello d’un legnaiuolo, 
più lontano, più non rimbomba. 
Passa il grido d’un bimbo solo: 
Turella! Bianchina! Colomba! 

Porta in collo l’erba ch’ha fatta, 
nella sua crinella di salcio. 
Le sue bestie al greppo, alla fratta, 
s’indugiano, al cesto ed al tralcio. 
Ei che vede sopra ogni tetto 
già la nuvola celestina, 
le minaccia col suo falcetto: 
Colomba! Turella! Bianchina! 

C’è un falcetto lucido ancora 
su la Pania, al fior del sereno, 
dentro l’aria dolce ch’odora 
d’un tiepido odore di fieno. 
C’è silenzio lassù, dov’erra 
quel falcetto con qualche stella. 
Solo il bimbo strilla da terra: 
Bianchina! Colomba! Turella!



Poesia di Giacomo Leopardi “Il sabato del villaggio”

La donzelletta vien dalla campagna, 
In sul calar del sole, 
Col suo fascio dell'erba; e reca in mano 
Un mazzolin di rose e di viole, 
Onde, siccome suole, 
Ornare ella si appresta 
Dimani, al dì di festa, il petto e il crine. 
Siede con le vicine 
Su la scala a filar la vecchierella, 
Incontro là dove si perde il giorno; 
E novellando vien del suo buon tempo, 
Quando ai dì della festa ella si ornava, 
Ed ancor sana e snella 
Solea danzar la sera intra di quei 
Ch'ebbe compagni dell'età più bella. 
Già tutta l'aria imbruna, 
Torna azzurro il sereno, e tornan l'ombre 
Giù da' colli e da' tetti, 
Al biancheggiar della recente luna. 
Or la squilla dà segno 
Della festa che viene; 
Ed a quel suon diresti 
Che il cor si riconforta. 
I fanciulli gridando 
Su la piazzuola in frotta, 
E qua e là saltando, 
Fanno un lieto romore: 
E intanto riede alla sua parca mensa, 
Fischiando, il zappatore, 
E seco pensa al dì del suo riposo. 

Poi quando intorno è spenta ogni altra face, 
E tutto l'altro tace, 
Odi il martel picchiare, odi la sega 
Del legnaiuol, che veglia 
Nella chiusa bottega alla lucerna, 
E s'affretta, e s'adopra 
Di fornir l'opra anzi il chiarir dell'alba.

Questo di sette è il più gradito giorno, 
Pien di speme e di gioia: 
Diman tristezza e noia 
Recheran l'ore, ed al travaglio usato 
Ciascuno in suo pensier farà ritorno.

Garzoncello scherzoso, 
Cotesta età fiorita 
E' come un giorno d'allegrezza pieno, 
Giorno chiaro, sereno, 
Che precorre alla festa di tua vita. 
Godi, fanciullo mio; stato soave, 
Stagion lieta è cotesta. 
Altro dirti non vo'; ma la tua festa 
Ch'anco tardi a venir non ti sia grave.



Nel Manifesto del Futurismo di Marinetti il martello rappresenta invece un oggetto di distruzione:

[…]Ma noi non vogliamo più saperne, del passato, noi, giovani e forti futuristi! E vengano dunque, gli allegri incendiarii dalle dita carbonizzate! Eccoli! Eccoli!... Suvvia! date fuoco agli scaffali delle biblioteche!... Sviate il corso dei canali, per inondare i musei!... Oh, la gioia di veder galleggiare alla deriva, lacere e stinte su quelle acque, le vecchie tele gloriose!... Impugnate i picconi, le scuri, i martelli e demolite, demolite senza pietà le città venerate! […]



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